SOLIDARIETA’ INTERNAZIONALE CON LA RESISTENZA NELLA FORESTA DI HAMBACH
Questa volta i reparti d’elite della polizia tedesca (Sek) e i mercenari di RWE hanno deciso di non fermarsi di fronte a niente pur di portare avanti l’ecocidio dell’ultima porzione di foresta rimasta.
Dei 4.100 ettari originariamente coperti di alberi, ora ne sono rimasti solo 200. In seguito al via libera della giustizia tedesca, RWE intende raderne al suolo la metà a partire dal 1° ottobre. La scorsa settimana il governo regionale della Renania settentrionale-Vestfalia ha annunciato l’evacuazione dalla foresta degli ultimi resistenti. Una volta deciso che gli ultimi occupanti sugli alberi dovevano essere sgomberati hanno portato avanti il loro infame progetto con solerzia e determinazione anche se questo lavoro si svolgeva a decine di metri di altezza da terra, sulle cime degli alberi dove le casette degli attivisti impediscono fisicamente l’abbattimento degli alberi.
In una di queste operazioni di sgombero è caduto da 14 metri di altezza ed è morto l’attivista tedesco Steffen.M. mentre filmava un’operazione di sgombero su un’altra piattaforma.
La descrizione di quanto accaduto non può essere definito un incidente. Nel progetto di distruzione e saccheggio della foresta di Hambach la compagnia RWE e lo Stato tedesco che ne è garante e protettore hanno già messo in conto questa e altre morti che regolarmente avvengono in tutto il mondo per garantire il funzionamento di un’economia di morte che può soltanto sopravvivere e accrescersi con il saccheggio di territori e comunità umane e animali.
Ecco finalmente che il vero volto della Green Economy prende forma, il sangue dei resistenti esce proprio dal cuore del paese con più politiche verdi in Europa, sbandierate ad ogni crocicchio come salvifiche per il pianeta, ma di fatto solo utili per gli interessi dei soliti sfruttatori, un cuore fatto di carbone, portato alla luce dalle profondità della terra con tecniche tra le più distruttive e inquinanti, tra le prime responsabili di produzione di CO2 e quindi con un ruolo di primo piano nello stravolgimento climatico globale.
Quanto successo ad Hambach non può solo indignarci, ma deve scatenare la giusta rabbia nei confronti degli ecodistruttori che ovunque portano avanti il verbo della Green Economy, ricordandoci che di fronte abbiamo multinazionali, stati e compagnie che in nome del profitto e dei loro privilegi con l’accaparramento delle ultime risorse naturali sono pronti a mettere tutto nel loro tritacarne, anche la distruzione dell’intero pianeta.
Per queste ragioni saremo davanti al consolato tedesco a Milano per esprimere tutta la nostra solidarietà e vicinanza alla resistenza di Hambach, perchè sappiamo che la loro lotta è anche la nostra.
I CORPI NON SONO DISPONIBILI
Contro l’utero in affitto, la procreazione medicalmente assistita e il sistema tecno-scientifico
Violenza è qualsiasi pratica che oggettifica i corpi riducendoli a merci da affittare, vendere o comperare come nel caso dell’utero in affitto o della procreazione medicalmente assistita.
Nella procreazione medicalmente assistita e nell’utero in affitto la riproduzione si stacca dalla sessualità e dai corpi, viene sottoposta al controllo del potere economico dei committenti, del potere medico e tecnologico con conseguente perdita di potere della donna su se stessa e sulla capacità di autodeterminare la propria relazione con la figlia/o.
Sta avvenendo una risignificazione della maternità, della dimensione procreativa che porta alla cancellazione della madre e della donna. Questo processo di risignificazione e di espropriazione della riproduzione dalla corporeità nasce ed è alimentato da uno sguardo clinico che si è reso sempre più “micro”, uno sguardo che considera il vivente come un insieme di entità molecolari che possono essere identificate, isolate, manipolate, ricombinate da parte del sistema tecno-scientifico. Gli stessi ovuli divengono elementi separabili dai corpi che li hanno prodotti e divengono merci vendibili.
La libertà di disporre del proprio corpo e l’autodeterminazione diventano autoimprenditoria: il femminismo neoliberale maschera e legittima la mercificazione della capacità riproduttiva della donna, la compra-vendita di una bambina, il bombardamento ormonale per produrre un sovrannumero di ovuli al fine di venderli. Fà proprie le logiche di mercificazione di questo sistema tecno-industriale dove tutto è merce, tutto è quantificabile e soggetto al criterio dell’utile, tutto è in vendita, tutto è ingranaggio in una mega macchina che stritola i corpi e il mondo intero.
Una logica malsana equipara la vendita della propria forza fisica o mentale alla maternità per altri. Sicuramente portare via una bambina a una madre che ha firmato un contratto è la forma suprema dell’alienazione della lavoratrice dal proprio “prodotto”.
Se il vendere la propria forza lavoro è sfruttamento, altrettanto o ancor di più lo sarà vendere o affittare il proprio corpo. Ci stiamo arrendendo allo sfruttamento estremo ed è paradossale che un’area femminista anticapitalista usi proprio le logiche del capitalismo tentando di trasformarle in argomenti a sostegno della libertà e dell’autodeterminazione.
La società patriarcale ha sempre sfruttato la capacità riproduttiva delle donne. È in coloro che non hanno il potere di portare in grembo una figlia, ma che sono desiderosi di averne una per sé, che si annida questo sfruttamento del corpo femminile.
Ma attenzione, non facciamoci abbagliare dalla retorica dell’altruismo. Non può esistere una “gestazione per altri etica”: se legalizzata e generalizzata sarà commerciale, basta semplicemente pensare a tutti i rimborsi spese per la madre in gravidanza. Il denaro è una condizione necessaria anche nel modo detto “altruistico” come in Gran Bretagna, dove i presunti “rimborsi” approvati dai tribunali hanno raggiunto le 30.000 sterline.
Così come abbiamo i consumatori etici e il mercato etico, così avremo il prestito etico dell’utero, dove la donna non sarà più solo una donna indiana povera e sfruttata, ma magari una donna occidentale trattata bene, così avremmo le coscienze a posto, ma purtroppo nella sostanza nulla cambia. La richiesta della legalizzazione e della regolamentazione di fatto aprirà un mercato.
Anche nella GPA “altruistica” ci sarà un contratto, una regolamentazione e anche se ci fosse la clausola che permette alla donna di poter decidere se tenersi il bambino o di interrompere la gravidanza, come possiamo essere così ingenue da pensare che dietro a quella che si chiama scelta, nella realtà non ci sia una situazione di necessità, come possiamo non pensare che da tali contratti e regolamentazioni non si arrivi a una degenerazione e a una situazione coercitiva.
Non dobbiamo cadere nell’illusione della regolamentazione, come avviene per le nocività non si possono regolamentare perchè equivarrebbe a diffonderle, regolamentare vuol dire che il disastro è già avvenuto, perchè è già insito nell’emissione stessa, è già insito nella diffusione della pratica.
Di fronte alla riappropriazione medica e tecnoscientifica della procreazione nessuna regolamentazione è accettabile quando sono le stesse pratiche ad essere inaccettabili. Così come non è possibile regolamentare il nucleare, gli OGM, la vivisezione, perché, a monte, riteniamo tutto ciò inaccettabile. Esiste una dimensione indisponibile: la dimensione della procreazione è indisponibile, i corpi sono indisponibili, il vivente è indisponibile.
L’utero in affitto, la cosiddetta gestazione per altri (GPA) e la procreazione medicalmente assistita (PMA) si situano all’interno del paradigma e dell’operare del sistema tecno-scientifico che penetra ogni dimensione vitale. Nello specifico la PMA non ha nulla a che vedere con le pratiche auto-organizzate di donne lesbiche e desiderose di avere una figlia che decidono di fare ricorso a dello sperma di un solidale. Al contrario, ricorrendo alla PMA, è escluso ogni carattere di solidarietà.
Nella GPA gli ovuli possono essere della stessa donna che affitta l’utero o di un’altra donna. Esistono cliniche con enormi banche di ovuli di venditrici selezionate per le loro caratteristiche. È sufficiente ascoltare le interviste di alcune donne che affittano l’utero alla Biotexcom a Kiev per renderci conto che per queste donne è meglio se gli ovuli provengono da altre donne, al fine di tentare di allontanarsi psicologicamente dalla bambina che nascerà, per tentare di non sentirla come propria: “noi dobbiamo prepararci psicologicamente a non provare un amore materno, […] so che quando li vedrò non mi somiglieranno, avranno i lineamenti di due persone a me estranee e per questo non potranno mancarmi”, spiega una donna in attesa di due figli avuti con ovuli di un’altra.
Prima di impiantare gli embrioni nell’utero della futura madre che ha fatto ricorso alla PMA o della madre che ha affittato l’utero, vengono praticati dei test genetici su una decina di embrioni, per determinare i probabili tratti e la predisposizione a svariate patologie, al fine di selezionare “i migliori” candidati. L’eugenetica, etimologicamente „L’arte di generare bene“, è una ideologia scientifica imprescindibile dalle tecnologie di riproduzione artificiale.
Allo stato attuale non si effettuano ancora manipolazioni genetiche al momento delle diagnosi pre-impianto, ma l’idea della fabbricazione della “bambina perfetta” sottende il mito dell’uomo perfetto, dell’uomo potenziato del transumanesimo. Sottende l’apologia della tecnologia e del potere “illimitabile” della scienza intesa come mezzo per soddisfare i propri desideri, nella fattispecie di maternità e paternità, ma anche di onnipotenza e, in maniera non troppo sottesa, di immortalità.
Dalla manipolazione dei semi vegetali arriviamo alla manipolazione dei semi umani mentre nel corpo delle donne avverrà una sperimentazione biotecnologica con conseguenze per le future generazioni. Non sarà un dittatore visionario che imporrà l’eugenismo, ma progressisti democratici, che stanno già aprendo la strada a una genetica liberale.
Una volta che la pratica sarà estesa a tutti e tutte si entrerà in un circuito in cui, in nome della libertà di scelta, si creerà un contesto in cui non si potrà fare altrimenti. In un domani non troppo lontano sarà definito prima irresponsabile e poi criminale mettere al mondo figli/e senza ricorrere alle tecniche di riproduzione artificiale garantite e gestite da un apparato medico.
Gli sviluppi dei processi tecnologici che manipolano il vivente si pongono su un piano differente, più profondo: non si tratta più solo di mercificazione, di sfruttamento, di gestione e di controllo, ma di una pervasività tecnologica totale. La riproduzione artificiale rientra in quel processo di addomesticamento e omologazione dell’umano e dell’intero vivente, fa parte di quel processo che sta artificializzando il mondo: se il vivente diventa altra cosa, sia in seguito ai processi di ingegnerizzazione, sia nella percezione che di esso se ne ha, il vivente sarà totalmente inglobato dal sistema e modificabile secondo le esigenze del sistema stesso.
Sembra che il sistema abbia ben compreso la posta in gioco e non ha nessuna intenzione di rinunciarvi. Sta a noi comprenderla e opporci, con forza, a quel processo che vogliono farci credere ineluttabile. Con la consapevolezza che se non lottiamo ora e subito un domani sarà troppo tardi.
QUANDO L’ESSERE UMANO INCONTRA IL SILICIO
Tutto intorno a noi cambia repentinamente verso un modello sempre più artificializzato e meccanicistico. Il nostro modo di vivere e rapportarci alla realtà cambia di conseguenza. Questo cambiamento è stato definito dai suoi fautori come una “transizione incrementale”.
Transizione proprio perché quest’ultima è possibile solo attraverso la socializzazione della tecnologia nei suoi vari aspetti tramite un processo costante che lavora sulla percezione e sull’accettazione di strumenti, sviluppi e ritrovati tecnologici inizialmente creati e utilizzati in alcuni ambiti specifici ma che ora penetrano violentemente nella quotidianità e nella vita di tutti e tutte. Questo processo lavora sull’assimilazione di questi mezzi fino a farli diventare diffusi, conosciuti e necessari attraverso un bisogno indotto.
Il rischio non è tanto il fatto che i robot possano prendere il sopravvento, ribellarsi al creatore e governare il mondo. I robot vengono pensati, costruiti e controllati da umani e da essi verranno sempre governati. In extremis resta sempre la soluzione di poter staccare la spina. Il vero rischio è che, una volta entrati a far parte del nostro mondo, non sarà più possibile tornare indietro. La nostra realtà verrà condizionata dalla presenza dei robot e da tutte le integrazioni che la robotica comporterà, il cui utilizzo sarà da prima per comodità, divenendo poi per necessità.
Computer e smartphones sono stati introdotti nell’esistenza umana e per i più sono già divenuti oggetti indispensabili nel vivere quotidiano; un’introduzione graduale e repentina allo stesso tempo. Allo stesso modo robot e corpi artificiali vengono introdotti nella società umana che si adatta sempre più alla crescente artificializzazione della realtà e del mondo, mentre in precedenza se ne poteva avere una percezione distante, collocandola nell’ambito immaginario dei film di fantascienza.
Un’educazione alla tecnologia che vediamo sempre più presente e assillante all’interno delle scuole, delle Università, nei cinema e nelle immagini visive che costellano le nostre giornate (dalle pubblicità agli schermi), tramite la quale le peggiori “trovate” del sistema tecno-scientifico passano dall’essere esclusivo appannaggio di tecno-scienziati ad essere prodotti del mercato di massa, dove presto verranno metabolizzati attraverso quello che gli stessi tecnici chiamano “effetto telefonino”.
La realtà che ci circonda cambia anche nel momento in cui la descrizione e la narrazione della stessa passano attraverso un linguaggio tecnico-specialista dove le emozioni e sensazioni umane diventano funzioni dell’apparato bio-chimico analizzabili attraverso algoritmi matematici. L’utilizzo di questo linguaggio rende visibile la perpetuazione del potere nella comunicazione situata nei rapporti sociali – come rapporto sociale.
“Acquistando la fisicità degli uomini, diventando sangue e pensieri, esso permane e si riproduce perché è tale nella testa di ciascuno, perché impone una rappresentazione di sé a sé stessi mediata da forme inorganiche in cui si manifesta.”
E’ proprio in questo contesto che si colloca la conferenza fissata per l’inaugurazione dell’anno accademico dell’Università di Bergamo con l’invito di Roberto Cingolani, biotecnologo nonché direttore scientifico dell’Istituto Italiano di Tecnologia (IIT) con sede a Genova, che ricopre un ruolo chiave nella distruzione di questo mondo. L’obiettivo è prepararci all’introduzione della robotica nelle nostre vite e nella quotidianità facendo digerire tutto ciò come “cosa buona e giusta”, come il futuro verso cui è inevitabile e necessario tendere.
E’ sempre l’IIT che, insieme ad altri mostri del settore, si trova in prima linea nel progetto “Italia 2040” cioè la realizzazione del sito di ricerca Human TechnoPole (ex area EXPO di Milano) dove verranno studiati e collezionati i genoma umani ed il loro sequenziamento per meglio manipolarli e ristrutturarli a proprio piacimento. Un progetto nel quale, guarda caso, vediamo coinvolto (come presidente del comitato di coordinamento) anche l’ex rettore dell’Università di Bergamo, Stefano Paleari, che proprio durante una delle conferenze in avvicinamento al G7 Agricoltura era a presentare il futuro Human TechnoPole al Teatro Donizetti.
Robot, dall’antico slavo ecclesiastico rabota cioè servitù, schiavitù, non rappresenta solamente un ammasso di cavi, acciaio e silicone ma è messaggero di un’idea.
Idea, dal greco antico ἰδέα significa vedere quindi rappresenta un disegno della mente che proiettata rispetto a ciò che ci circonda rappresenta un’idea di mondo.
Il robot di che idea di mondo può essere portatore se non quella per cui viene fabbricato cioè schiavitù, sottomissione e servitù?
Un’idea di mondo in cui tutto ciò che vive su questo pianeta è visto come una risorsa, un’utilità, un ingranaggio funzionale in un enorme meccanismo.
Per alcuni tecnici – tra cui lo stesso Cingolani – il robot e la tecnologia rappresentano le uniche soluzioni per ovviare ai problemi ecologici del nostro pianeta, tra cui il consumo di acqua.
L’impatto antropico sulla Terra è devastante perché è il risultato di un sistema capitalista. Qui si colloca il robot, la cui esistenza e fabbricazione è intrinsecamente legata allo stesso sistema che producendolo lo rende idea concreta. Al di fuori di questo sistema a cosa servirebbe? Non può che essere la risposta a un mondo sempre più veloce, produttivo ed imperturbabile dove il robot è la macchina perfetta, che lavora incessantemente, proprio perché priva di intelligenza umana, cioè di emozioni, sensazioni e desideri.
Inaccettabile non è solo l’approccio transumanista che mescola il vivente alla macchina per creare il Cyborg; inaccettabile è qualsiasi utilizzo della tecnologia anche quella che, mascherandosi da liberatrice, penetra sempre più maggiormente nelle nostre esistenze.
Difatti i maggiori utilizzi dei robot, della robotica in generale e dei cyborg li troviamo in ambito militare: esoscheletri, droni UAV, pesci robot contro le offensive via mare, sentinelle robotiche, droni Reaper dotati di missili e bombe laser con licenza di uccidere.
Dare spazio, ascoltare e/o condividere la diffusione di conferenze come questa significa anche essere complici e accondiscendenti rispetto alle applicazioni future in scenari di guerra oltre che in ambito civile.
E’ un processo schizofrenico perché da una parte questi modelli artificiali vengono creati a immagine e somiglianza della natura, delle piante, degli animali, dell’essere umano cercando di copiare forme, sensi e modi di ricevere informazioni tipiche di ogni specie; dall’altra parte vengono prodotti unicamente per dominare il mondo circostante e ristrutturarlo a proprio piacimento in un’ottica utilitaristica in cui l’uomo tecnologizzato è il risultato di un processo che ha portato al superamento del biologico.
Un pessimo tentativo di copia del naturale che viene visto come imperfetto, incompleto e antiquato.
La natura in questo modo viene schiacciata, dominata, sventrata e ridotta alle sole caratteristiche interessanti e sfruttabili che in essa si possono identificare. Umanoidi, robot capra, piante robot non fanno altro che scimmiottare il vivente, riducendolo a prototipo naturale con caratteristiche interessanti da cui prendere spunto al fine di compiere determinati lavori in cui sono richieste quelle particolari abilità.
Questo modello tecno-scientifico mai potrà essere la soluzione essendo esso stesso il problema. La facciata liberatrice che viene mostrata quando vengono illustrati i campi di utilizzo della robotica è ingannevole e fuorviante. Spesso si sente parlare positivamente dell’impiego delle nuove tecnologie in campo medico e sociale, nell’assistenza agli esseri umani, nell’esplorazione dello spazio, nella sostituzione dell’umano in mansioni o ambienti gravosi e pericolosi. Facendo ciò si intende nascondere il reale scopo di questi strumenti che, lungi dall’essere liberatori, contribuiscono a creare nuove catene. I risultati e gli strumenti realizzati dalle tecnoscienze, imposti democraticamente, diverranno poi indispensabili più di quanto possiamo immaginare. In questo senso, tali tecnologie sono concretamente pervasive: tendono alla creazione di un mondo in cui sarà inimmaginabile la possibilità di non accettarle e di rivoltarsi apertamente contro di esse. Qui non vogliamo azzardare una prospettiva fantascientifica in cui le macchine faranno perire l’umano.
Tutt’altro, la tecnologia, le catene e le protesi che essa genera sono frutto dello stesso principio che consente la perpetuazione del dominio e dello sfruttamento – il principio dell’autorità.
La tecnologia non è neutrale.
Assemblea ecologista Le Ortiche
LA CONVIVENZA IMPOSSIBILE
A Bergamo in questi giorni si sta svolgendo il vertice sul futuro dell’alimentazione e dell’agricoltura; una grande tavola rotonda, a cui siedono i ministri dell’agricoltura aderenti al G7 per discutere di grandi temi quali il diritto al cibo, la lotta allo spreco alimentare e all’inquinamento, la tutela dei produttori agricoli e il rilancio della cooperazione agricola sulla scia di Expo 2015. Un’occasione che vede accanto al G7 Agricoltura l’emergere di posizioni apparentemente contrarie al grande vertice, ma che sostanzialmente non fanno altro che essere conciliabili con l’idea di mondo di cui il G7 Agricoltura e gli altri eventi, come BergamoScienza, sono parte integrante. Basti pensare alla Biodomenica, un mercato di produttori biologici promosso in occasione del G7 e della “giornata nazionale del biologico” dal Bio-Distretto, istituzione bergamasca che riunisce sotto la stessa sigla vari produttori della provincia «attenti all’ambiente e al sociale». Iniziativa, la Biodomenica, proposta come la voce critica dell’agricoltura biologica al G7, ma che, per dirla con le parole del ministro Martina, è stata «un passepartout per il G7 Agricoltura». Altro esempio sono i workshop e le conferenze tenute da Vandana Shiva, conosciuta come esponente di spicco del movimento no-global contrario agli OGM e alle multinazionali, già madrina di Expo 2015 e ora anche del G7 Agricoltura. Questo calderone di alternative e opposizioni condito da ideali democratici è un vero e proprio teatro delle contraddizioni, ormai neanche più troppo celate: presentarsi come un’alternativa presuppone di fatto pratiche di convivenza, cogestione e complicità col potere a cui, teoricamente, ci si sta opponendo. Convivenza, perché con alternativa – per definizione – si presuppone una controparte dominante che non si può sopprimere, se non a rischio di perdere i propri spazi garantiti. Cogestione, perché i disastri che l’essere umano sta creando non vengono messi in discussione in quanto tali, ma vengono tematizzati in aree e gruppi di lavoro, che si propongono come controparte più “etica” alla tavola rotonda delle soluzioni tecnoscientifiche. Questi disastri vogliono essere gestiti dalle alternative di turno, con nuove pratiche “etiche” ed ecosostenibili, in stretta collaborazione con chi la crisi l’ha creata. È di fatto una cogestione, e in quanto tale non sovverte ciò che crea il disastro ma lo tecno-umanizza ulteriormente, anche se a velocità slow o col marchio bio. Non stupisce, allora, che in questo caldo ottobre bergamasco si alternino sul palco G7, BergamoScienza, la Biodomenica e altri attori diversamente travestiti, ogni tanto smascherando l’inganno e dialogando tra loro sulla scena. Il G7, specchio per le allodole dove nulla viene deciso, è un meeting costruito su decisioni già prese, riprodotte e riaffermate nella cornice ideologica tecnoscientifica propagandata da BergamoScienza, e che gestisce e riordina tra i suoi ranghi il dissenso formale con happening biologici come la Biodomenica. La contemporaneità di questi eventi non è casuale: sono iniziative fatte e pensate assieme di proposito. Così, nella stessa città, nello stesso periodo, tra le stesse persone, nella stessa piazza, vengono proposte conferenze con biotecnologi – i nuovi tecnici del dominio – e mercati del biologico. Non è che biologico è diventato (o è sul punto di diventare) biotecnologico, in una strana e inquietante risignificazione delle parole e nell’assenza pressoché totale di una critica su ciò che ci stanno propugnando? Di fondo sono tutti eventi figli dello stesso paradigma antropocentrico e tecno scientifico. L’alternativa non solo si propone come convivenza e cogestione, ma non è nemmeno un’alternativa: è totalmente complice di questo sistema a cui permette di rinnovarsi continuamente, dopo che ogni disastro impone un nuovo innalzamento della soglia di tollerabilità alle nocività.
Riteniamo che in questo mondo complesso, dove tutto (parole comprese) cambia di significato nell’apparato digerente del dominio tecnoscientifico, sia necessario proporre una critica quanto più lucida possibile, che presti attenzione ai discorsi del dominio e che possa infiammare la riflessione sulle pratiche di conflitto con esso. Per questo crediamo che il G7 non possa essere né un punto di partenza né un punto di arrivo per una lotta che si propone radicale e che viene percepita come necessaria. La critica al G7 in quanto evento mediatico, frutto e fattore del mondo che contrastiamo, è parte del percorso di lotta, ma non è assolutamente l’imperdibile appuntamento. Il G7 Agricoltura e le sue logiche di distruzione non termineranno il 15 ottobre. Aziende come Adama (multinazione chimica israeliana con sede a Grassobbio che produce e commercializza l’erbicida glifosate) o il centro di ricerca genetica sulla cerealicoltura con sede a Stezzano (dove viene manipolato il DNA di piante di mais poi introdotte nel circuito agricolo) continueranno imperterriti nella stessa direzione anche dopo tutti i controsummit e i tavoli di lavoro del caso. I laboratori del dominio non si fermano, e certamente non lo faranno per mettersi veramente in ascolto di possibili proposte alternative. Un semplice esempio di recente “cronaca” ha reso evidente – ancora una volta – come rivendicazioni malposte, giochi di potere e sotterfugi linguistici facciano il gioco del dominio: la questione del glifosate. Nonostante varie sigle dell’ambientalismo abbiano cantato vittoria perché era stato sollevato il problema del glifosate in parlamento e si era “ottenuta” la sua messa al bando, in realtà ad un occhio attento non sfugge come siano stati dichiarati illegali solo i prodotti contenenti anche il coformulante Ammina di sego polietossilata, ovvero la minor parte dei prodotti stessi. Il glifosate non è stato messo fuorilegge, e chi ci avvelenava ieri continua a farlo anche oggi. In questi giorni potrà capitare di vedere quelle stesse sigle dell’ambientalismo che ripropongono la questione del glifosate, come se non ci accorgessimo dei loro trucchi politici e non ricordassimo i loro canti di vittoria dell’altro ieri. Ciò è indice del fatto che probabilmente per loro è più importante mantenere garantita la credibilità verso il potere come attenuatori di conflitti sociali che il reale avvelenamento della Terra e dei/lle suoi/e abitanti. Perciò, se quanto detto – giochi di potere, ingegneria genetica (OGM, CRISPR/cas9 e dintorni) e politiche alternative di opposizione – è parte dello stesso mondo, la critica e la lotta non possono che essere radicali, volte a estirpare le radici del sistema tecnoscientifico, i suoi presupposti e i suoi falsi critici. La posta in gioco è alta, si tratta della sopravvivenza del pianeta e dei suoi abitanti. Non riusciamo a vedere come possa essere possibile un’alternativa. Pensiamo a due specie vegetali coltivate nello stesso terreno o a poca distanza l’una dall’altra, una OGM e l’altra non modificata geneticamente: quale delle due ha più probabilità di riprodursi e di sopravvivere a danno dell’altra? Non possiamo veramente credere che le nostre proposte (come quelle contro gli OGM) possano sopravvivere al fianco del potere Geneticamente Modificato, o che il genoma prodotto in laboratorio non degradi ulteriormente ogni essere vivente. Dobbiamo rifiutare il sistema di dominio con le sue logiche di delega e di cogestione democratica delle nocività. Il nuovo tecno-totalitarismo non è solo quello dell’imposizione, ma soprattutto quello della partecipazione, della coesistenza: si è chiamati tutte e tutti a collaborare su base volontaria al proprio sfruttamento e avvelenamento. Non possiamo partecipare ad inutili happening mediatici alternativi, o di entrare a far parte di comitati bioetici insieme a chi produce o legittima con teorie filosofiche di ultima generazione lo sterminio e l’estinzione della vita come la conosciamo.
L’INCUBO FUTURO CHE E’ GIA’ IL NOSTRO PRESENTE
L’ottobre bergamasco è ricco di iniziative volte all’accettazione delle nuove prospettive scientifiche in campo agroalimentare, con due eventi istituzionali tra loro sinergici: BergamoScienza e il G7 Agricoltura. Nelle varie conferenze proposte da diverse istituzioni che lavorano in campo sia locale che internazionale, si parlerà anche delle nuove tecnologie di modificazione e ingegneria genetica, con uno sguardo sulle recenti tecniche che intendono rivoluzionare l’alimentazione a livello globale. ll loro racconto intriso di retorica e propaganda corrisponde alla speranza di trovare soluzioni definitive alla fame nel mondo e alla sovrappopolazione, creando in laboratorio, grazie alla biologia sintetica, cibi e piante del futuro, che si spera presto verranno commercializzate a livello globale. Ancora una volta, come nelle precedenti “rivoluzioni verdi”, si parla di aumentare la produzione e la qualità delle derrate alimentari agendo direttamente sulle più piccole particelle dei viventi, modificandone il genoma in maniera radicale, fino a dare a specie vegetali caratteristiche molto lontane da quelle di partenza. Nel concreto una delle nuove tecnologie è il CRISPR/cas9, rivoluzionario in quanto a semplicità di applicazione, costi super ridotti e impossibilità di determinare a posteriori se qualche prodotto è stato modificato con questa tecnologia o meno. Chiunque potrebbe perciò diventare un piccolo ingegnere genetico! Come tanti re Mida o piccoli Faust, pensiamo di trasformare la realtà a nostro piacimento fin nel suo intimo genoma, adattandoci felicemente in una visione antropocentrica del mondo che vede il vivente come imperfetto, risorsa necessariamente da manipolare e migliorare. Le uniche cose che, sì, devono rimanere intatte e devono essere perpetuate ad ogni costo sono il sistema tecno-scientifico, il capitalismo e la loro crescita illimitata e totalizzante. Lo scenario che ci viene propinato, al di là delle promesse di salvezza del pianeta e di risoluzione delle grandi sfide del III millennio, è la conversione verde del sistema attraverso la tecnoscienza per mantenere inalterate le sue logiche di profitto, controllo e dominio. Di fatto, questa imperante corsa alla modificazione genetica non è necessaria se non all’interno di questa logica di crescita e innovazione costante, senza riguardo per le conseguenze sociali ed ecologiche. Il mondo, allora, è un enorme campo sperimentale, un laboratorio esteso, dove tutto è corpo scomponibile, così come noi e gli altri viventi. In quanto tali, smontabili a piacimento, reificati e frammentati, perdiamo qualsiasi possibilità di controllo su noi stesse e su ciò che ci circonda. Allora, come è possibile risolvere la fame nel mondo con organismi prodotti in laboratorio, che verranno gestiti e probabilmente brevettati dalle stesse multinazionali che li creano e sono la causa principale della fame nel mondo? Come sarà possibile eliminare l’inquinamento senza uscire dalle logiche che l’hanno prodotto? I disastri futuri renderanno necessari ulteriori interventi tecnologici con conseguenti danni collaterali ingestibili e non prevedibili, in un ciclo infinito di distruzione. Quindi, a chi serve veramente tutto ciò? A quali esigenze rispondono la manipolazione genetica e nanotecnologica? Evidentemente a quelle di chi trae profitto dalla gestione del disastro ecologico. In questo mondo in cui i dogmi della tecnoscienza sono imperativi e indiscutibili, questioni fondamentali per la sopravvivenza nostra e del pianeta vengono ridotte da tecnocrati e scienziati a mere dispute linguistiche: così il CRISPR non produce OGM, pratiche invasive vengono semplicemente definite difficili, l’economia capitalista diventa verde e sostenibile, i viventi sono corpi da smontare e la moderna ingegneria genetica sarebbe solo l’evoluzione di tecniche agronomiche antichissime. Al contrario delle promesse salvifiche di una scienza provvidenziale e menzognera, riteniamo che il futuro radioso che ci viene raccontato sia da contrastare radicalmente.
INIZIATIVA in occasione del Bergamo Pride
In occasione del Bergamo Pride svoltosi il 19 Maggio in città, abbiamo voluto portare una voce contro la mercificazione dei corpi, la vendita di ovuli, l’utero in affitto e la procreazione medicalmente assistita per affermare con forza che i corpi sono indisponibili.
Ben consapevoli delle posizioni della sinistra bergamasca e di NUDM su GPA, e non solo, crediamo sia importante rompere questo silenzio assordante.
Lo smembramento clinico della donna, l’espropriazione e la mutilazione della dimensione procreativa sono per noi tasselli sostanziali contro cui lottare in un’ottica di liberazione totale. Siamo nemiche di un sistema che ci vorrebbe catalogare secondo razza, cultura, caratteri biologici e svendere al miglior offerente.
Le Angiosperme Anarchiche
per contatti: www.resistenzealnanomondo.org
Angiosperme – dal greco “seme protetto” – sono piante terrestri o acquatiche caratterizzate dall’avere gli ovuli racchiusi nell’ovario, costituito da foglie fertili arrotolate.
Noi, Donne, lottiamo contro lo smembramento della donna, la mercificazione dei corpi e della dimensione procreativa che questo sistema vorrebbe corrompere e svendere al miglior offerente.