La fobìa della critica

Il libro di Daniela Danna “La piccola principe” e la scelta di presentarlo nel nostro spazio di documentazione “La Piralide” sono stati attaccati come transfobici. Ma cosa dice di così sconvolgente questo libro?
Forse questo non si può sapere se neanche un libro viene letto e se si preferisce seguire acriticamente le vuote accuse di transfobia girate nel rapidissimo (quando vuole) flusso di internet e FB. Ci piacerebbe vedere questa velocità anche quando i compagni vengono pestati in carcere o iniziano scioperi della fame o quando attivisti precipitano dagli alberi per salvare le ultime foreste.
Noi, come Daniela, ci poniamo contro la somministrazione di farmaci bloccanti per la pubertà.
Questo non è negare che esista l’identità transessuale o volerla invisibilizzare.
Una cosiddetta autodeterminazione acritica e a briglia sciolta portata all’estremo degenera nel pensiero che una/un bambina/o o un adolescente sia in grado di scegliere con coscienza di intraprendere un percorso irreversibile verso la transessualità.
Solo a posteriori si può vedere se quella/quel bambina/o avrebbe poi voluto fare una transizione. Non prima.
Affermare che non esistono bambine/i-adolescenti trans non è essere transfobiche/i.
Sono bambine/i-adolescenti che vivono un malessere verso ciò che i ruoli di genere, basati sul proprio sesso biologico, impongono a livello sociale e culturale fin dalla nascita.
Vivere e/o percepire un malessere con il proprio corpo sessuato durante lo sviluppo della pubertà non significa sentirsi o riconoscersi come persone transessuali.

Come avviene questa somministrazione?
Uno psichiatra deve diagnosticare una “disforia di genere”, un comportamento sano diventa quindi patologizzato e inserito all’interno di uno sguardo clinico e di una dimensione medica, uno sguardo e una dimensione non neutrali, ma con conseguenze reali e materiali sui corpi.
Quali sono i criteri?
Chi realmente decide?
Se il comportamento della bambina o dell’adolescente non rientra in ciò che dovrebbe fare e pensare per lo stereotipo di genere, quella bambina sarà allora un maschio.
Per noi, questo pensiero invece che distruggere i ruoli di genere, li rafforza e li cristallizza.
Quella bambina o adolescente una volta adulta magari diventerà lesbica, magari continuerà a sentirsi bene nel suo corpo di donna, magari vorrà fare una transizione, certo, non si nega questa possibilità, ma è una possibilità.
Con quale autorità genitori e psichiatri decidono sul corpo della bambina e dell’adolescente di bloccare la sua pubertà con danni irreversibili per la sua salute?
Come si può parlare di autodeterminazione quando è proprio questa che viene schiacciata da un sistema tecno-democratico incarnato da specialisti e parenti che prendono decisioni irrevocabili sul tuo corpo e sulla tua futura possibilità di metterle in discussione?
Perché, inoltre, lo Stato ha approvato nei livelli minimi di assistenza l’accesso alle tecniche di PMA così come dei farmaci bloccanti per la pubertà?
Da una parte si lotta contro lo Stato e tutte le sue pratiche e funzioni nemiche di ogni libertà; dall’altra ci sfuggono i passaggi fondamentali di come il potere, in nome dei diritti e della libertà, stringa il suo nodo più forte che mai, come non si era mai visto: un nodo che la maggior parte delle persone e tanto antagonismo saranno contenti di mantenere ben saldo. Se il controllo inizia dalla nascita e ci accompagna per tutta la vita, di quale libertà stiamo parlando? Chi sarà più in grado di capirla?

Nel mondo post-moderno, l’individuo perfettamente conforme è neutro, fluido, spugnoso, malleabile ed eternamente modificabile per le esigenze dei mercati e del sistema. Le stesse relazioni tra individui diventano disumanizzanti: la spontaneità e l’imprevisto spariscono nel nuovo dogma del politicamente corretto, dove un nuovo catechismo detta e giudica i modi e le forme dell’agire, possibilmente nella piccola cerchia sociale che ci circonda e verso noi stessi. Il fuori con le sue relazioni allargate, imprevisti e un mondo da stravolgere svaniscono dal nostro immaginario: una nuova razionalità ha preso il sopravvento apportando un riduzionismo terrificante.
Il limite diventa qualcosa di terribile, da combattere con ogni mezzo. L’idea del “se la natura è ingiusta, cambiala” è un concetto pericoloso che se ridotto alla libertà di autodeterminarsi, trascina con sè istanze nocive in linea con il potere tecno-scientifico che vuole il controllo pervasivo dei corpi. Ci scordiamo che viviamo in un pianeta con dei limiti, che i corpi hanno dei limiti e socialmente il limite è consapevolezza e responsabilità. Mantenere dei punti fermi oggi rappresenta l’inizio di ogni pratica di resistenza verso un potere che ci vorrebbe docili soggetti da sperimentazione. Manteniamo belle nette queste linee di demarcazione tra organico/inorganico, carne/metallo, circuiti elettronici/sistemi nervosi, vita/morte, natura/artificiale, potere/libertà.
Così come per la differenza dei sessi intorno alla procreazione: un individuo nato biologicamente maschio non può partorire e questa è una differenza sostanziale, materiale, corporea, per nulla essenzialista.
Non è certo lo scardinamento delle basi biologiche dell’esistenza che può trasformare le sedimentazioni e costruzioni sociali e che può cancellare le discriminazioni, sarebbe come voler cancellare i colori della pelle per superare il razzismo.
Tutto questo è in perfetta sintonia con i valori del libero mercato, con il paradigma di questo sistema tecno-scientifico.
Tra lavorare in fabbrica, affittare l’utero vendendo il proprio figlio e fare la prostituta, esiste il non accettare una condizione di miseria e sfruttamento. Inserirsi nel mercato da impresarie/i e azioniste/i del proprio corpo, come propugnano alcune correnti Queer in tema di prostituzione e GPA, non significa attuare una nuova rivoluzione, come cantavano recentemente a Bologna “siamo tutte puttane”, ma abbandonare ogni lotta e possibilità di cambiamento. A quando vendere i reni sarà un atto radicale come una soluzione alla crisi e verrà difeso con proteste e scioperi?

Nel mondo post-moderno alla rovescia
lo sfruttamento e la mercificazione dei corpi,
l’acquisto dell’accesso del corpo di una donna,
la legittimizzazione della logica che vede ogni donna oggetto sessuale,
l’assistenza sessuale per disabili,
il diventare imprenditrici di sè stesse,
la vendita di ovuli,
l’affitto dell’utero,
la procreazione medicalmente assistita,
la compra-vendita di bambini e bambine al mercato della riproduzione,
la selezione eugenetica degli embrioni (e presto anche l’editing genetico),
la logica che sottende l’idea di un corpo smembrabile, modificabile, ingegnerizzabile,
l’idea transumanista del superamento di ogni limite,
la somministrazione di farmaci bloccanti per la pubertà:
diventano libertà e autodeterminazione,
diventano rivendicazioni di scelte personali.
Si pensa che siano idee rivoluzionarie, si pensa di poter gestire tutti questi processi, e che questi corrispondano ai propri desideri e aspettative.
In realtà, anche quando corrispondono davvero ai nostri desideri, vi è un imperativo che prescinde da noi in quanto sono interiorizzazioni delle stesse logiche patriarcali, in quanto sono processi in mano a tecnici e specialisti in cui la stessa organizzazione e pianificazione viene stimolata proprio dall’offerta tecnologica.
Niente è più lontano da una legittimazione e rafforzamento dell’esistente, non scardinano nulla, ma riaffermano e soprattutto confermano questo sistema con le sue logiche di dominio che non si presentano ormai quasi più come imposizione e dispotismo, ma al contrario come una libera scelta introdotta da una nuova neolingua.

Sta avvenendo una profonda risignificazione:
la prostituzione diventa sex-work,
l’utero in affitto diventa maternità per altri altruistica,
la vendita e la predazione di materiale biologico diventa dono,
la scelta su un catalogo di un bambino diventa desiderio di genitorialità,
una non malattia come l’infertilità e il non rientrare negli stereotipi di genere diventano una condizione patologizzata e medicalizzata,
lo sfruttamento e la povertà diventano orgoglio e rivendicazione,
gli abusi come la prostituzione e la GPA diventano rivendicazioni di diritti,
la donna diventa un asterisco,
una creatura transgenica come l’oncotopa diventa una compagna di specie e sovversiva,
il cyborg diventa la nuova soggettività trasgressiva,
le tecnologie diventano gli strumenti per liberarci dalle catene della biologia.
Tutto questo ha profonde conseguenze su tutte e tutti noi e sull’intero vivente.
Da sempre il capitalismo ha spossessato dei beni per accaparrarsi il controllo e la gestione di essi e quando questi diventano dello stato la nostra stessa libertà e autodeterminazione è minata. Lo spossessamento è arrivato fin dentro i nostri corpi e fin dentro i processi biologici dell’intero vivente. Il controllo e la gestione dei corpi da parte dello Stato e delle tecno-scienze devono iniziare dall’embrione in una provetta.

Alcune questioni sono considerate all’interno dei contesti anarchici e di sinistra come intoccabili, di conseguenza portare delle riflessioni critiche porta automaticamente a diventare omotransfobici, transfobici, queerfobici. Paradossalmente anche persone trans con un pensiero contrario a queste pratiche vengono accusate di essere “transfobiche interiorizzate”.
Un pensiero unico e totalizzante dilaga anche nei contesti anarchici, che decide sull’agibilità dei singoli o dei gruppi negli spazi, che effettua una censura verso libri, testi, giornali, iniziative.
Lo sguardo critico che dovrebbe puntare lontano, verso il mondo che si muove e si trasforma, non va oltre la punta del proprio naso, e si spinge perennemente in un’affannosa ricerca di parole, lettere e addirittura citazioni non conformi a quel pensiero ormai indurito e incancrenito su sè stesso.
Un non pensiero che polverizza la reale capacità critica, che porta a un deserto arido, che mina le stesse capacità per la comprensione della realtà attorno a noi, per la comprensione di tutte le manifestazioni ed evoluzioni del dominio. Senza questa comprensione viene minata alla radice la stessa possibilità di resistenza e opposizione.
Di fronte a questo pantano ideologico, politico, critico, culturale abbiamo deciso di alzare un polverone.
Non ci aspettiamo che immediatamente si vedano le varie connessioni tra tutti questi processi che non solo mercificano, ma si avviano ad una gestione dei corpi tutti senza precedenti. L’ingegneria genetica non dà possibilità di uscita dal suo paradigma. Questo paradigma si sta consolidando e per farlo non sta usando una sola strada, un solo Stato, una sola ricerca, ma un insieme di tutte queste cose e altre ancora che probabilmente neanche immaginiamo. Le tesi portate dal libro di Daniela Danna apparentemente ci portano lontano e invece è proprio il contrario: ci mostrano lo svolgersi della prossima medicalizzazione e l’assalto ai corpi impregnato di diritti e “buoni principi”.
Alle censure di questi giorni, alla mediocrità imperante, alla scorrettezza introiettata nell’agire riproponiamo il pensare libero, senza il peso del gruppo e della cricca. Un pensiero che deve partire dall’analisi e dalla costruzione di strumenti adeguati per affrontare questo nuovo presente. Diversamente saremo relegati nei chiacchericci sempre più monotoni, al sentito dire, alle citazioni e ai bignamini scritti per un uso collettivo, ma che concretamente non arrivano neanche a togliere un pò di quella confusione che stagna ormai da tempo nelle situazioni.

Invitiamo tutte e tutti alla presentazione di venerdì 30 novembre del libro di Daniela Danna dove sarà possibile approfondire e riflettere su tutte queste questioni, insieme a lei, a Giovanni Dall’Orto e al nostro collettivo.

Centro di documentazione La Piralide

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